Il 26 agosto 2024 si è spento Marco Gasparotti, grande chirurgo, maestro e pioniere della lipoaspirazione. Lo ricordiamo con le parole del nipote Andrea Maria Florio, anch’egli socio SICPRE.

Dalla presidente Stefania de Fazio, dal Consiglio Direttivo e dalla comunità tutta, l’abbraccio affettuoso alla famiglia.

 

In queste occasioni sarebbe scontato fare un elogio alla carriera…

Molti conoscono Marco Gasparotti come ‘il pioniere della Liposuzione’, la tecnica che ha perfezionato ed insegnato nel mondo a partire dagli Anni ‘80. I gossip, dagli Anni ’90 in poi, lo hanno definito ‘il chirurgo dei Vip’, per i pazienti variegati che hanno varcato le porte del suo studio.

 

Eppure, ciò che più cattura la sua essenza era l’appellativo con cui lo chiamavano le persone che si sono formate con lui, che hanno frequentato la sua sala operatoria: ‘Maestro’.

Zio Marco mascherava con un’ostentata sicurezza un carattere umile, profondamente insicuro.

Per questo si imbarazzava davanti a questo appellativo, anche se nel suo intimo era il suo preferito.

 

Nel giorno in cui ci ha lasciati, moltissimi lo hanno salutato chiamandolo Maestro, anche chi, invero, non lo aveva mai conosciuto.

 

Per questo motivo, è doveroso raccontare a tutti perché Marco Gasparotti, Zio Marco, per noi è stato un Maestro.

 

Non è stato un Maestro di Vita: come tutti noi ha fatto molte cose buone, ma non è stato scevro da errori.
Non è stato un infallibile visionario: perseguiva delle idee che potevano rivelarsi a volte dei geniali successi, spesso dei fuochi di paglia.

Non è stato un Maestro perché a 50 anni ha imparato a pilotare aeroplani, col sogno di atterrare nella sua Cavallo direttamente da Roma… Salvo poi scegliere un aereo che non riusciva a decollare se al suo interno aveva sia abbastanza benzina per arrivare che tutti i passeggeri…

Non è stato un Maestro per gli obiettivi ed i successi che ha centrato nella sua lunga carriera.

 

Probabilmente, non è stato nemmeno un Maestro di Stile, come gli sarebbe piaciuto…

Zio, infatti, predicava fascino ed eleganza, e con tutte le sue forze cercava di educare le pazienti al bello.

Spesso ci riusciva; a volte era troppo buono, e le assecondava nei loro eccessi.

Ma erano gli Anni ’90, i rombanti 2000… Anni colorati da scarpe a zatterone e pantaloni a zampa…

Possiamo perdonargli qualche leggerezza…

 

 

E allora, perché è stato IL Maestro?

Per chi ha avuto modo di viverlo, Zio Marco è stato un Maestro nel suo approccio quotidiano al lavoro.

 

Un approccio fatto di umiltà, di dubbi, di insicurezze.

Ha insegnato a tutti noi che, per ottenere un risultato perfetto, l’ego del chirurgo va sepolto.
Direi non il trend del momento…

Ci ha insegnato che bisogna affrontare ogni intervento non con la paura, ma col terrore di sbagliare, di non dare il massimo.

Non con la spavalderia che sempre più impazza nei nuovi canali di comunicazione.

Ci ha insegnato che il dubbio è una forma di intelligenza molto più forte, molto più proficua della presunta sicurezza data dagli anni di esperienza.

Ci ha insegnato che l’ansia, in sala operatoria,  è un’alleata molto più potente della tranquillità, perché ti spinge a controllare tutto in maniera maniacale, ti spinge a seguire uno schema mentale ripetitivo e collaudato, che riduce il margine per l’errore, per l’imprevisto e per la complicanza.

 

Ci ha trasmesso che bisogna avere la capacità di ascoltare ogni collaboratore, ogni infermiere, ogni persona che transita in sala operatoria – anche solo di passaggio – e che potrebbe farti notare qualcosa che ti fosse sfuggito, che potrebbe regalarti un punto di vista diverso.

 

Ci ha inculcato l’ossessione per il singolo dettaglio, che spesso sfocia in frustrazione, nella rabbia di chi si sente incompreso dalle persone intorno, che non colgono i particolari o le imperfezioni che lui insegnava a cercare, in maniera spasmodica.

Sono circondato da teste di C…” era il suo mantra. Ci ha sempre ribadito che non ci si può fidare al 100% di nessuno, e quindi di controllare sempre, non solo il proprio lavoro, ma anche quello degli altri.

 

Mentre in sottofondo risuonava la musica di Peppino di Capri – quello che lui chiamava Maestro – ci ha lanciato addosso ferri ed insulti, nessuno escluso. Ci ha mandato a quel paese, ci ha dato degli imbecilli. Ma – almeno spero – senza pensarlo veramente.

 

Erano scatti figli dell’ansia, sua fedele compagna di vita, finché il risultato non era raggiunto e la paziente non era sveglia e stava bene.

In quel momento ritornava affabile, sornione, col sorriso sotto i baffi.

Veniva di persona a scusarsi per ogni insulto o ferro lanciato ed a proporre una serata in compagnia, per stemperare insieme una giornata pesante.

 

Il Maestro non ha mai rubato un minuto ad un intervento, per spiegarti cosa stesse facendo.

Divorato dall’ossessione di fare quanto meglio, quando operava era concentrato, quasi in trance: guai a disturbarlo.

In sala operatoria non ha mai fato una Lectio Magistralis.

Eppure, è stato un Maestro con i suoi gesti.

Con le sue ossessioni.

Con le sue manie.

Con la sua umiltà.

 

I fatti. I risultati.

Questi facevano di lui un Maestro.

 

Un Maestro che ci ha insegnato a posizionare l’asticella non in alto, di più.

Ad avere l’ansia non solo di raggiungerla quell’asticella, ma di oltrepassarla.

Possibilmente con ‘Roberta’ di Peppino di Capri ad accompagnare.

 

Grazie Zio, per tutto.

 

Andrea

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