La giornata tipo a North Kinangop inizia verso le 7.30 del mattino, con la colazione presso la casa delle suore. Il lunedì si tiene un meeting generale a cui partecipano tutti gli specialisti, gli studenti, i tirocinanti e i dirigenti dell’ospedale, tra cui, immancabile, don Sandro. Durante l’incontro vengono presentati gli ingressi del weekend, siano in medicina o in chirurgia, e ci si confronta sulle varie problematiche del reparto e sugli eventuali interventi effettuati in urgenza. Il confronto è libero e le opinioni tra i vari specialisti vengono scambiate in un clima sereno. Terminato il meeting, i medici tirocinanti presenti in chirurgia, guidati dal direttore del reparto, il dott. Philippe, fanno il giro visite di tutti i loro pazienti, giro che spesso si protrae fino all’ora di pranzo. Se non ci sono urgenze, il pomeriggio del lunedì prosegue con l’affollatissimo ambulatorio chirurgico fino a sera. La settimana continua con la seduta operatoria di chirurgia generale e ortopedia il martedì e il giovedì, mentre di ostetrica e ginecologia il mercoledì, salvo urgenze. Il mercoledì e il venerdì sono riservati al giro visite ed all’ambulatorio. I pomeriggi a North Kinangop sono molto tranquilli mediamente; lo specializzando di chirurgia plastica viene chiamato in pronto soccorso, o “casualty”, quando giungono pazienti con ustioni, traumi della mano o condizioni non acute (cheloidi, deformità, patologie della cute in generale). È possibile attivare una sala in urgenza, con infermieri e anestesisti reperibili, o programmare l’intervento chirurgico nei giorni successivi. Si cena presto a North Kinangop. Alle 7.30 infatti bisogna recarsi presso la casa delle suore, dove si mangia tutti insieme: ospiti, sorelle e, ovviamente, don Sandro. La serata si conclude presso la guest house, chiaccherando o guardando RaiTRE alla tv, vicino al caminetto acceso. Nel weekend è possibile andare a visitare gli spettacolari parchi, numerosissimi in Kenya, sempre chiedendo a don Sandro che attiva l’infaticabile ed espertissima guida, Dominique. La missione si articola generalmente in 3 settimane: la prima in cui arriva solo lo specializzando, conosce l’ambiente, raccoglie i pazienti e organizza le sale operatorie della settimana successiva, tenendosi in contatto telefonico con l’Italia. La seconda settimana, un chirurgo strutturato esperto arriva in Kenya e tutti i giorni, una delle 4 sale è dedicata alla chirurgia plastica. Di solito si operano fratture esposte, cheloidi, esiti di ustioni, deformità congenite. Le sale operatorie sono fornite e organizzate, tant’è che sono stati effettuati interventi quali ricostruzioni microchirurgiche, dalla dott.ssa Garusi, ricostruzioni in due tempi con l’uso di espansori cutanei, correzioni di labiopalatoschisi, interventi su paraplegici, ecc. L’ultima settimana, lo specializzando viene nuovamente lasciato da solo e si dedica ai controlli; tuttavia è possibile continuare ad operare, con l’autorizzazione del dott. Philippe. La vita in ospedale scorre in modo semplice. Può capitare di passare un pomerggio stesi al sole, come di correre fino a sera. La comunicazione con i pazienti non è difficile, visto che l’inglese è la lingua ufficiale e, anche se molte persone parlano solo swahili, le infermiere sono sempre disponibili a fare da interprete. Il lavoro c’è e le cose da fare abbondano, tra medicazioni in reparto e chiamate al casualty. Infine ogni settimana al lunedì e giovedì pomeriggio sono previste lezioni ed ECM a cui partecipano studenti e tirocinanti. Non è sempre facile lavorare in quel contesto e sicuramente bisogna fare i conti con inevitabili incomprensioni e problemi. Può capitare di trovare un paziente, operato il giorno precedente, disteso sull’erba a prendere il sole, oppure un altro a cui viene rifatta la medicazione in modo del tutto improprio. Gli orari della sala operatoria sono del tutto indicativi e alle volte si è costretti ad aspettare minuti od ore che un paziente venga portato dal reparto. La strada giusta è quella di non stancarsi di ripetere sempre tutto, senza mai arrabbiarsi o alzare la voce, capire che si è a casa loro e che solo portando dei risultati evidenti li si può convincere a migliorare il loro modo di lavorare, peraltro già di buon livello.